“La fabbrica delle ragazze” di Ilaria Rossetti

LA FABBRICA DELLE RAGAZZE” DI ILARIA ROSSETTI

 

-        Recensione del prof.re Gabriele Cantagallo

Il 2 aprile, io e la prof.ssa Paola Stroppa, entrambi referenti della Biblioteca scolastica del Nostro Istituto, abbiamo ospitato in streaming la scrittrice Ilaria Rossetti, giovane autrice di Lodi, nonché una delle voci più autorevoli della letteratura italiana contemporanea.

L’abbiamo incontrata insieme agli alunni delle classi terze per presentare il suo ultimo romanzo “La fabbrica delle ragazze”, edito nel gennaio 2024 e inerente lo scoppio di una fabbrica di munizioni belliche sita a Castellazzo di Bollate, durante la prima guerra mondiale, smantellata nel 1919 e della cui vicenda si era persa la memoria; è solo grazie al lavoro di ricerca di alcuni bollatesi che nel 2018 è stata allestita una mostra, la quale ha richiamato un vasto pubblico, addetti ai lavori e non, tra cui la nostra Autrice, che ha dedicato a questo evento il suo romanzo.

Ella parte dallo scoppio infausto che produsse ben 59 vittime, di cui 53 ragazze tra i quindici e i ventitré anni, tutte provenienti da Bollate e zone limitrofe, ragazze che avevano preso il posto degli uomini, occupati al fronte e garantendo alle loro famiglie uno stipendio fisso, per aiutare i loro cari, perlopiù contadini.

Delle innumerevoli vittime, Ilaria Rossetti ci parla di Emilia Minora, vent’anni, operaia da circa due mesi, figlia di Martino che non avrebbe voluto, perché sapeva che quel lavoro l’avrebbe schiavizzata, al contrario di sua madre Teresa, pratica ed energica, più interessata ai soldi che al benessere della figlia.

Diversi mesi dopo la morte di Emilia, entrambi i genitori non hanno accettato ancora questa scomparsa: non il padre, che una mattina di inizio novembre, prende una barca da un vicino e inizia a navigare sul Seveso, per cercare di dare un senso ad un dolore che non capisce, immaginando in modo reale il destino di sua figlia se non fosse morta; non la madre, che vuole giustizia, dato che le hanno fatto credere che Emilia sia stata vittima di un complotto, secondo il quale le armi erano prodotte difettose – la fabbrica era svizzero-tedesca – tanto da uccidere i soldati italiani appena li maneggiavano e non accetta, piena di invidia, che un’amica di sua figlia, Clementina, sia sopravvissuta e abbia sposato il miglior partito del paese.

Una storia che colpisce per più aspetti: le morti bianche di giovani operaie, private delle più basilari tutele lavorative; le insane voglie dei guardiani della fabbrica, che oltre a violentarle nei più o meno nascosti androni dell’edificio, le hanno violate nella loro femminilità con mani avide e senza scrupoli, pena la perdita del lavoro e la gogna pubblica per la vergogna altrui; ma anche la possibilità di guardare, come fa Martino, ad una realtà alternativa circa gli eventi in cui vive, perché il futuro delle donne non debba più essere un luogo e un tempo dell’umiliazione e della vergogna, bensì il luogo e il tempo – attraverso le carezze che il marito di Clementina prodiga alla sua sposa, di notte, quando in preda alle crisi di pianto si sente smarrita dal dolore che l’ha segnata – in cui possiamo credere alla forza trasformatrice dell’amore e non più, piaga attuale, a giovani maschi che uccidono “le proprie” donne.